Con la sentenza n. 9806/2021 la Suprema Corte aderisce all’orientamento giurisprudenziale che – riconoscendo l’esimente di cui all’art. 384, comma 1, c.p. al datore di lavoro il quale, al fine di nascondere le prove della sua responsabilità, altera lo stato dei luoghi di un incidente in cui sono stati feriti i suoi dipendenti – esclude la sussistenza del reato di frode processuale ex art. 374 c.p. a suo carico.
Nel caso di specie, infatti, l’imputato era amministratore di una società di trasporti ed era stato condannato in appello per i reati di minaccia al fine di costringere a commettere un reato, frode processuale e lesioni colpose gravi e gravissime aggravate ai danni dei suoi dipendenti, avendo egli omesso l’osservanza delle norme antinfortunistiche, nonchè inquinato le prove sul posto prima dell’arrivo dei soccorsi e degli inquirenti e, successivamente, minacciato di licenziamento alcuni soggetti per costringerli a rilasciare dichiarazioni compiacenti sulla dinamica dei fatti.
Secondo la Cassazione, la disposizione di cui all’art. 384 c.p. delinea, sulla scorta di un orientamento consolidatosi in epoca recente, una causa di esclusione della colpevolezza basata “sulla valutazione della situazione soggettiva in cui versa l’agente a fronte del pericolo inevitabile di un nocumento per la propria libertà o per il proprio onore, tale da rendere inesigibile un comportamento conforme al precetto delle norme tassativamente evocate dal primo comma dell’art. 384 c.p., ma senza escludere il disvalore oggettivo del fatto tipico”.
L’esimente in oggetto, pertanto, “deve ritenersi applicabile anche quando lo stato di pericolo sia stato cagionato volontariamente dall’agente e segnatamente nell’ipotesi in cui abbia commesso uno degli illeciti penali elencati nel primo comma dell’ art. 384 c.p.”.
In ragione di ciò, la Suprema Corte – pur confermando la condanna del ricorrente per lesioni colpose gravissime e gravi aggravate, e per minaccia al fine di costringere a commettere un reato – ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per il capo d’accusa relativo alla frode processuale, in quanto il fatto non costituisce reato.