Con sentenza depositata in data 27 maggio 2021 n. 20990 la Corte di Cassazione ha chiarito che l’elevazione dell’imputazione di autoriciclaggio presuppone il fumus della commissione del reato presupposto da parte dell’indagato.
Nel caso di specie la Suprema Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Piacenza aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. nei confronti di due imprenditori, indagati per i reati di dichiarazione infedele e autoriciclaggio. Come chiarito dagli Ermellini, nella motivazione del provvedimento impugnato non erano stati indicati elementi di fatto idonei a ricondurre la vicenda nell’ambito del delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, non avendo il Tribunale del Riesame individuato le dichiarazioni fiscali oggetto del reato, i soggetti che le avevano presentate, le annualità di riferimento, i ricavi omessi e le imposte evase in relazione ad ogni dichiarazione.
In sentenza la Corte ha quindi evidenziato come la “mancanza di motivazione sul fumus del delitto di dichiarazione infedele riverbera i suoi effetti anche sul reato di cui all’art. 648 ter 1 c.p., che postula l’esistenza del reato presupposto di dichiarazione infedele”; ciò in quanto “il mero possesso di un’ingente somma di denaro non può giustificare, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo circa l’esistenza o meno di un delitto presupposto… l’elevazione di un’imputazione di riciclaggio”.