Con la sentenza n. 35261/21 (dep. 23.9.2021) la Suprema Corte si è soffermata sulla questione se e a quali condizioni il dipendente di un istituto di credito possa rendersi autore del reato di concussione ex art. 317 c.p.
Il caso oggetto della pronuncia della S.C. riguardava le condotte concussive poste in essere dal dipendente di un istituto di credito concessionario per l’istruttoria delle pratiche di ammissione ai finanziamenti ai sensi della legge n. 488/1992. Nello svolgimento della propria attività di istruttore della pratica di finanziamento richiesto da una Società, questi aveva infatti minacciato il socio dell’impresa di bloccare la pratica se non gli avesse versato indebitamente 15.000 euro.
Il Tribunale condannava l’imputato sulla scorta della ritenuta natura pubblicistica dell’attività svolta dall’istituto di credito concessionario ex l. 488/1992, essendo il finanziamento oggetto dell’istruttoria erogato dal Ministero dello Sviluppo Economico. In ragione di ciò l’imputato, unico dipendente preposto allo svolgimento di tali pratiche all’interno della banca e, conseguentemente, dotato dei relativi poteri certificativi, era stato ritenuto dal Tribunale un pubblico ufficiale. Tale pronuncia era poi stata sostanzialmente confermata dalla Corte d’Appello di Roma, la quale aveva però ritenuto che la qualifica ricoperta dall’imputato fosse quella di incaricato di pubblico servizio.
Chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dall’imputato avverso la sentenza d’appello, la S.C. ha chiarito che, anche se “l’attività degli istituti di credito, normalmente esulante dall’ambito pubblicistico, vi è invece sottoposta per quelle funzioni collaterali svolte in campo monetario, valutario, fiscale e finanziario, in sostituzione di enti non economici nella veste di banche agenti o delegate, con la spettanza della qualifica di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio ai relativi operatori”, tale affermazione non può essere generalizzata.
Secondo la Corte, infatti, “è con riferimento alla tipologia in concreto del finanziamento richiesto […] che vanno ricostruiti e verificati sia i corretti poteri pubblicistici dell’istituto di credito, per effetto della normativa primaria e di quella che ne regola l’attività giuridica, fra cui l’accordo e la convenzione e, soprattutto, i poteri di tipo pubblicistico effettivamente delegati o comunque esercitati o esercitabili dall’imputato nel quadro delle funzioni e delle mansioni svolte nell’ambito dell’istituto di credito”. In altre parole, è necessario procedere alla “precisa individuazione dei caratteri qualificanti dell’attività pubblicistica in concreto svolta dai soggetti agenti, che non è frutto di mero automatismo rispetto a quella dell’ente di appartenenza, poiché si richiede il concreto esercizio, in capo all’agente, delle funzioni pubblicistiche stesse dalle quali, come noto, esula lo svolgimento di attività meramente materiali”.
Applicando tali coordinate al caso in esame, la Cassazione, ritendo che i giudici di merito non avessero approfondito la natura pubblicistica del ruolo svolte dal ricorrente, a dire di quest’ultimo consistenti “in mere attività istruttorie e preparatorie, nelle quali non era direttamente ravvisabile l’esercizio di un potere pubblicistico, rimesso ad un funzionario e ad organi diversi dell’istituto”, ha annullato con rinvio per nuovo giudizio la sentenza emessa dalla Corte d’Appello.